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LO CURZIO – CARUSO : La fortificazione permanente dello Stretto di Messina (előszó)

 

prof. Santi Fedele

Che Messina nel corso dei secoli abbia costituito sito strategico e base militare di fondamentale importanza per il controllo non solo dell'Area dello Stretto ma dell'intera Sicilia, è opinione largamente condivisa dagli studiosi che sull'argomento hanno condotto ricerche anche di notevole impegno, pervenendo ad attente e documentate ricostruzioni storiografiche. A ricordarcelo è Michela D'Angelo, autrice della magistrale sintesi – con cui si apre il presente volume – sul tema delle fortificazioni messinesi tra Cinquecento e Ottocento, di cui vengono ripercorsi alcuni aspetti e momenti fondamentali quali la nuova cinta muraria voluta da Carlo V, il sistema combinato di piazzaforti, comprendente Forte Gonzaga, realizzato a integrazione delle mura, e quindi, dopo la repressione della rivolta antispagnola, l'edificazione della Cittadella, baluardo a difesa del Porto dagli attacchi esterni ma ancor più strumento di controllo del territorio cittadino, su cui si sarebbero scaricate le cannonate con le quali Ferdinando Il di Borbone stroncherà nel sangue la rivoluzione risorgimentale del 1848.

Molto meno conosciuto, in tema di fortificazioni di Messina e del suo territorio, è invece un capitolo di storia a noi relativamente più vicino, quello costituito dal sistema di fortificazione permanente dello Stretto realizzato dopo l'Unità d'Italia e precisamente nell'ultimo ventennio dell 'Ottocento. Tale sistema, oggetto di studi e progetti avviatisi già all'indomani della proclamazione del Regno d'Italia e nel più generale contesto di un ampio disegno difensivo che interessava l'intero Paese dai confini alpini alle due isole maggiori, entra nella fase realizzativa a seguito della radicale svolta che nella politica estera italiana si produce nel 1882 con l'adesione dell'Italia alla Triplice alleanza con l'Impero tedesco e quello austro-ungarico.

L'adesione alla Triplice è la risposta politico-diplomatica dell'Italia all'occupazione di Tunisi operata nel 1881 dai francesi in un'ottica di controllo e di dominio territoriale del Mediterraneo occidentale e con esiti inevitabilmente conflittuali con l'aspirazione italiana a fare della fiorente colonia italiana di Tunisi la base per una più decisa penetrazione in Africa settentrionale.

La rivalità con la Francia, e quindi l'intesa diplomatica con quella Germania che l'aveva sconfitta a Sedan e ne costituiva il "naturale" nemico, costituirà per almeno un quindicennio una costante della politica estera italiana, così come è nella previsione di un eventuale, se non probabile, scontro navale con la Francia che s'inquadra la realizzazione in tempi relativamente rapidi di un sistema integrato di fortificazione dello Stretto capace di garantire la difesa di un fondamentale nodo strategico mediterraneo contro ogni potenziale assalto di navi nemiche.

Sorgono così, tra il 1884 e il 1902, oltre venti siti militari tra fortini, polveriere e batterie (sommariamente identificati nel dire comune quali "Forti umbertini"), per i due terzi circa ubicati sul versante siciliano e per la rimanente parte su quello calabrese, finalizzati alla realizzazione di un complesso sistema difensivo in grado di tenere sotto fuoco incrociato di cannoni e obici qualsiasi nave nemica si avventurasse nello Stretto e stroncare così sul nascere eventuali propositi di sbarco. Un sistema difensivo destinato a presidiare quella che veniva unanimemente considerato dai vertici militari una posizione di importanza primaria per la difesa dell'intera Italia meridionale e insulare, e che per le sue caratteristiche del tutto peculiari di "campo trincerato" adattato alla configurazione di uno stretto braccio di mare, verrà a costituire una realizzazione militare avente spiccati caratteri di originalità.

E siccome sino ad oggi il sistema di fortificazione dello Stretto di Messina era stato oggetto di studi solo parziali e frammentari, particolarmente utile e meritoria è l'impresa realizzata da Vincenzo Caruso e Massimo Lo Curzio con la pubblicazione del presente volume, frutto di genuino entusiasmo e di grande passione di ricerca, di amore per le città dello Stretto e di considerazioni attentissima di tutte le implicazioni nazionali e internazionali del tema affrontato, di studi pluriennali condotti con esemplare rigore metodologico e di sforzi tenaci per pervenire al felice "assemblaggio" di competenze diverse tra storici, urbanisti, esperti di storia militare, cultori di storia patria ecc.

Quel che ne viene fuori è un affascinante "viaggio" nella Messina di fine Ottocento, condotto senza chiusure localistiche ma al contrario con la sempre vigile consapevolezza, siccome emerge, tra l'altro, dai pregevolissimi contributi di Vincenzo Caruso, che il processo edificatorio del sistema integrato di fortificazione dello Stretto va inquadrato da un Iato nell'evoluzione complessiva dei sistemi di fortificazione permanente nell'Europa del tempo (a loro volta strettamente correlati al potenziamento continuo delle artiglierie), e dall'altro nel più ampio contesto dei progetti di difesa dell'intero territorio nazionale ideati e poi, almeno parzialmente, realizzati dai vertici militari italiani.

Ma il volume non è soltanto la ricostruzione documentata e attenta di una pagina importante di storia militare del Regno d'Italia. Perché l'insieme delle fortificazioni che costituiscono il sistema integrato di fortificazione dello Stretto sono anche un esempio straordinario di un'architettura militare che tende ad inserirsi nel territorio circostante senza "violentarlo" ma per così dire adattandosi e conformandosi ad esso. E ciò perché – come argomenta lucidamente Massimo Lo Curzio – mentre sino al Settecento la stragrande maggioranza delle fortificazioni si ergevano alte da terra a dissuadere con la loro stessa possanza gli eventuali assalitori, ora invece, a seguito del progresso formidabile delle artiglierie, a presidio dei campi trincerati, come per l'appunto quello dello Stretto, si allestiscono edifici aventi il requisito del minore possibile sviluppo fuori terra. In particolare, i "Forti umbertini" devono tenere sotto tiro le navi nemiche nello Stretto ma da queste ultime non risultare visibili e in ogni caso offrire la minore superficie muraria possibile all'offesa delle artiglierie nemiche. Devono pertanto, ciò per assolvere al meglio alle loro funzioni, venire ubicati sì in punti panoramici ma realizzati in maniera tale da aderire il più possibile alla morfologia del territorio, su di esso per così dire "adagiandosi" in maniera "naturale".

Da qui l'ulteriore pregio ambientale e architettonico di siti dei quali Massimo Lo Curzio, con la competenza acquisita in decenni di studio e con il rigore critico che ne ha sempre contraddistinto il lavoro, affronta il tema complesso ma imprescindibile della conservazione e della fruizione. Una conservazione che non può e non deve frammentarsi in interventi parziali ma che deve necessariamente interessare l'intero complesso del sistema di fortificazioni; così come il tema altrettanto importante della loro corretta fruizione deve inquadrarsi in un progetto organico di valorizzazione di quello che rappresenta per Messina il più vasto complesso storico-architettonico residuato alle distruzioni del Terremoto.

Ad impreziosire il volume concorrono altresì il contributo di Claudio Francato, cronaca romanzata ma al contempo "documentatissima" delle grandi manovre militari svoltesi nello Stretto nel 1907; il saggio di Michele Cerami, ricco di pertinenti notazioni in ordine alle ricadute economiche sulla città determinate dal lungo iter dei lavori realizzativi delle fortificazioni; l'interessante scritto di Bruno Villari sulla figura Giacomo Longo.

Se a ciò si aggiunge il ricchissimo apparato iconografico posto a corredo di un prodotto editoriale realizzato con grande competenza e cura dei particolari, si deve concludere che ciò di cui siamo debitori a Vincenzo Caruso e Massimo Lo Curzio è non solo uno dei più qualificati contributi alla storia della città di Messina e dell'area dello Stretto dopo l'Unità che sia apparso negli ultimi anni ma anche un apporto prezioso di idee, di proposte e di stimoli alla valorizzazione e alla corretta fruizione di quel patrimonio storico, artistico e ambientale da cui possono trarre alimento le speranze di rinascita delle diverse collettività cittadine.

 

Lo Curzio – Caruso

 


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